Pamela Busonero, Psicologa e Psicoterapeuta

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Quando la paura ci paralizza: effetto freezing

da | Ott 25, 2018 | Gestire le emozioni | 6 commenti

Effetto freezing sugli animali

Prendendo in considerazione il comportamento degli animali sappiamo che questi, quando si sentono minacciati, reagiscono in tre diverse maniere:

  1. affrontano il pericolo combattendo;
  2. fuggono velocemente dalla minaccia;
  3. si paralizzano (effetto freezing).

Possiamo aggiungere a questi tre tipi di reazione anche uno combinato tra la prima e seconda maniera e cioè il “combatti e fuggi”.

Anche se in prima analisi può apparire alquanto illogico, in alcune situazioni la scelta della paralisi risulta la migliore e, in casi particolari, è l’unica via possibile.

Che la paura talvolta riesca a paralizzare una persona è ormai cosa risaputa, e studi scientifici lo hanno dimostrato da molto tempo.

Come sopra premesso gli stessi animali sono soggetti all’effetto paralizzante, derivato da una specie di narcotico naturale che entra in circolo.

Spesso lo fanno a spese della loro vita proprio quando il pericolo diventa inaffrontabile e non permette loro nessuna via di fuga.

In preda ad un branco nemico, ad esempio, provando paura, la vittima si getta a terra paralizzando completamente il proprio corpo. In tal maniera talvolta riesce a scampare alla morte ma molto spesso facilita il compito dei predatori, che approfittando proprio di quell’immobilità lo divorano.

Alcuni esempi di comportamento di animali

Questo modo di comportarsi di fronte ad un pericolo, che si distingue negli animali fra specie e specie, è abbastanza raffinato e talvolta anche assai sofisticato.

  • I Didelfidi, mammiferi marsupiali americani, riescono perfettamente a simulare la morte quando si trovano di fronte a forti minacce, ma non si limitano alla semplice immobilità. Nel modo del tutto istintivo, infatti, cadono a terra con occhi spalancati e bocca aperta emettendo fetidi gas intestinali attraverso l’ano. I loro predatori, a meno che non si tratti di animali come le nostre iene o sciacalli, conoscono per istinto il pericolo derivato dall’ingestione di carcasse puzzolenti e li evitano.
  • Tale caratteristico comportamento lo troviamo anche nei serpenti Heterodon del Nord America e in diverse specie di rane che vivono in Brasile (Ischnocnema aff. Henselii). Queste ultime quando si sentono perse si girano a pancia in su, divaricando le zampe e bloccandosi immediatamente con gli occhi chiusi, rimanendo immobili per diversi minuti.
  • Anche i rospi reagiscono alla stessa maniera e lo fanno per dare impressione di un corpo carico di veleno, dato il vivace colore della pelle addominale e delle zampe.

Effetto sul genere umano

Tali istintive reazioni le troviamo anche negli esseri umani ma in modo più sofisticato, dato l’intervento integrato della razionalità, che talvolta può portare a comportamenti alquanto elaborati (naturalmente, elaborati in precedenza, poi meccanizzati).  Molto spesso in situazioni di imminente pericolo si bloccano completamente, anche se sarebbe meglio un diverso comportamento.

Lo psicologo John Leach, docente dell’Università di Portsmouth, che già da tempo studia il modo di reagire delle persone nei momenti di pericolo, ha stimato che nei casi di improvvisa emergenza, dove è in gioco la vita, circa il 75% di esse smette di ragionare razionalmente bloccandosi, invece di elaborare un piano di fuga.

John Leach sta attualmente insegnando ai militari inglesi come sopravvivere in tali emergenze.

Secondo lo psicologo, solo il 15% delle persone di fronte a minacce improvvise rimane sufficientemente razionale, prendendo decisioni che non mettano in pericolo la propria vita, mentre il restante 10% perde addirittura la capacità di ragionare, agitandosi e provocando danni a se stessi e agli altri.

Cosa succede nel nostro cervello

Ritornando a quel 75% delle persone che si paralizzano, il responsabile di tale opzione è la sostanza grigia periacqueduttale, che sta nel mesencefalo, una delle parti meno evolute del cervello.

Recentemente alcuni studiosi dell’Università di Bristol hanno scoperto che di fronte ad un pericolo immediato la sostanza grigia periacqueduttale attiva una parte del cervelletto (la piramide) che immobilizza il corpo.

Infatti, quando incappiamo in improvvisi e sfavorevoli contesti, come un’aggressione o una violenza, subiamo un forte stress emotivo. Accade però che nel circolo del nostro sistema cerebrale vengono secrete alcune sostanze chimiche atte ad attenuare la forte agitazione e causare quello che in psicologia viene definito effetto “freezing”.

Le endorfine

Trattasi di endorfine, sostanze organiche di tipo polipeptidico (ormoni), le stesse che l’ipofisi immette in circolo quando proviamo gioia o amore e che ci aiutano nella vita di ogni giorno a superare con più facilità momenti dolorosi: una difesa che abbiamo da sempre.

Quando ci sentiamo agitati e ci prescrivono un ansiolitico ci accorgiamo del suo effetto calmante subito alla prima somministrazione. Allo stesso modo il nostro cervello, indipendentemente dalla volontà, in presenza di pericolo scatena questa reazione chimica.

Cosa succede a livello psicologico

Ci sono ragioni evolutive ormai ampiamente conosciute per cui tutto il genere animale, compreso l’essere umano, reagisce a seconda dei casi con specifiche reazioni fisiche, derivanti dalla secrezione di alcune di queste sostanze ormonali da parte del cervello.

Di solito, l’opzione “reazione di attacco”, avviene quando c’è la certezza di essere in grado di affrontare il pericolo sconfiggendolo. In tal caso il sistema nervoso simpatico mette in circolo l’adrenalina (anch’essa un ormone), che potenzia la muscolatura attraverso una più ricca e più veloce irrorazione dei vasi sanguigni, aumentando anche il ritmo delle pulsazioni cardiache.

La stessa cosa (rilascio di adrenalina) avviene quando il soggetto sceglie l’opzione della fuga. In questo specifico frangente questo si verifica perché la minaccia appare subito irrisolvibile e, al tempo stesso, risulta concreta una via di fuga.

La terza opzione (freezing) – fisica, ma determinata dalla mente – appare essere l’unica reazione possibile dove non c’è alcuna speranza di sconfiggere la minaccia né possibilità di fuga. Questo può accadere a molte persone che si immobilizzano su una spiaggia mentre sta arrivando una gigantesca onda e ad alcune vittime di fronte a violenze di qualsiasi tipo.

Non solo paralisi fisica

Nel genere umano tale reazione non mira ad una mera paralisi muscolare (almeno non sempre), come avviene nel mondo animale, ma a una più profonda stasi cerebrale (ristagno o rallentamento della circolazione) impedendo alle persone di ragionare razionalmente. Nei momenti di improvviso pericolo, perciò, queste persone non riescono ad analizzare immediatamente l’evento per prendere iniziative atte a salvare loro la vita. Non riescono a pianificare la risposta e – visti dall’esterno – si comportano come se nulla di brutto stesse succedendo.

Nell’attentato dell’undici settembre alle Twin towers, alcuni studiosi hanno stimato che circa metà delle persone sopravvissute riferivano che durante quei terribili momenti, invece di cercare la via di fuga, telefonavano a parenti e amici, inviavano email e messaggi sms, andavano in bagno, rovistavano armadi e cassetti, si cambiavano le scarpe … ed altre normalissime cose quotidiane.

In questi casi, come pure in altre simili disgrazie, il blocco mentale, oltre a dipendere dal fatto che non si trovi un’immediata strategia per nessuna delle due prime opzioni (affrontare il pericolo combattendo, o fuggire velocemente dalla minaccia), interferisce la novità di un’imprevista situazione, talmente complicata che non permette scelte: gli eventi si sviluppano ad una velocità tale che non non si ha tempo di riflettere e quindi di adeguarsi.

Per questa ragione, infatti, moltissime persone hanno perso la vita negli incendi o nei naufragi. Probabilmente, in alcuni casi di fronte a certi eventi, le vittime si bloccano anche per un meccanismo di negazione, che rende meno penoso il corso dell’evento, ottenendo lo stesso effetto come con la secrezione delle endorfine.

Sensazione di impotenza e senso di colpa

È facile che la persona che vive un trauma e subisce questa paralisi si senta in colpa. In colpa per non aver reagito, per non essere riuscita a scappare, a chiedere aiuto, a liberarsi, a pensare una soluzione possibile. Comincerà quindi a convincersi che se l’è meritato e solo l’idea di parlarne la farà sentire una persona sbagliata. Proprio per questo non riuscirà a parlarne con nessuno, e più si sentirà sbagliato, più difficile sarà aprirsi all’altro.

Altre volte l’individuo viene assalito dalla sensazione di impotenza. Quando subiamo un trauma e ci sentiamo impotenti questa sensazione si espande in tutti i contesti della nostra vita, facendoci sentire con questa percezione addosso per la maggior parte della giornata.

In alcuni casi, per esempio, la vittima non riesce a denunciare il suo carnefice proprio per le sensazioni che ha addosso: si può sentire sbagliata o debole, e comunque che c’è qualcosa in lei che non va bene.

Può sentirsi in colpa per non aver reagito nel momento della violenza lasciando il carnefice libero di agire sul suo corpo.

Ma in quel momento la mente era riuscita a dissociarsi (e dico fortunatamente!) salvaguardando la parte emotiva.

A cosa serve la risposta di ‘effetto freezing’

Proprio per questo la risposta di freezing non solo risulta normale. Nella maggior parte dei casi è l’unica alternativa che abbiamo.

Posso affermare che essa è una risposta normale di una persona normale in relazione ad un evento anormale.

Vediamo quali sono i vantaggi:

  • Il freezing ci difende da uno shock emotivo che sarebbe troppo forte da superare.
  • La paralisi fa in modo che l’individuo non si renda conto di cosa stia succedendo. Le sostanze rilasciate dal cervello permettono di sentire il trauma con una minore intensità.
  • Nel caso di un’aggressione potrebbe anche scoraggiare l’aggressore a continuare.

….e quando la sensazione di pericolo e impotenza rimangono, anche dopo il trauma?

A volte, come scritto sopra, l’effetto freezing è l’unica soluzione possibile.

Succede però che il corpo apprende questo meccanismo e, involontariamente, lo applica a tutte le situazioni della nostra vita, anche se il reale pericolo è ormai superato.

Spesso arriva gente nel mio studio che prova uno stato di allerta ingiustificato per gran parte della giornata.

Sciogliendo i nodi, elaborando gli eventi traumatici che hanno portato alla paralisi ed al senso di impotenza l’individuo potrà tornare ad una vita qualitativamente migliore. Molto indicate sono trattamenti psicoterapeutici evidence-based (per esempio la tecnica EMDR): presentano un’elevata percentuale di successo e la remissione parziale o totale dei sintomi.

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Dott.ssa Pamela Busonero

Psicologa Psicoterapeuta, riceve a Firenze in Piazza Indipendenza 21

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6 Commenti

  1. marco camillo

    Ho visto un articolo identico. Chi ha copiato?

    Rispondi
    • Pamela Busonero

      Grazie per la segnalazione. Mi potrebbe inviare il link di riferimento per email?

      Rispondi
  2. Alessandra Ponziani

    Davvero molto utile ed informativo, ho utilizzato molte parti del suo articolo in un tema sulle emozioni negative e di come ci possano influenzare.
    La ringrazio per aver scritto questo articolo, mi è stato veramente utile.

    Rispondi
  3. Gian Paolo

    Anche lo stalking può generare uno stato di paralisi che impedisce di chiedere aiuto ai familiari?

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