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Sintomo: ‘Vorrei solo che sparisse’

da | Ago 20, 2024 | articoli | 0 commenti

Vorrei solo che quel sintomo sparisse

Le persone spesso arrivano da me in terapia con un desiderio molto chiaro: vogliono che un sintomo, come l’ansia, gli attacchi di panico o una profonda sensazione di malessere, scompaia.

Entrano nel mio studio con lo sguardo speranzoso, quasi come se fossi in possesso di una bacchetta magica capace di cancellare immediatamente ciò che li tormenta.

È comprensibile: quando un sintomo ci affligge, ci impedisce di vivere serenamente e ci fa sentire impotenti.

Tuttavia, in questo articolo ti spiegherò perché, se seguissi questa richiesta alla lettera, non sarei una buona psicoterapeuta.

La funzione del sintomo: un messaggio nascosto

Quando un sintomo emerge, che si tratti di ansia, depressione, attacchi di panico o qualsiasi altra manifestazione fisica o emotiva, è facile vederlo come un nemico da combattere, un ostacolo da eliminare al più presto.

Tuttavia, il sintomo ha una funzione ben precisa: è il segnale che qualcosa dentro di noi ha bisogno di attenzione. È come una spia luminosa sul cruscotto dell’auto: non possiamo semplicemente spegnerla senza indagare su ciò che la causa.

Se ignoriamo il messaggio e ci concentriamo solo sul far sparire la spia, rischiamo di aggravare il problema sottostante.

Se eliminassimo il sintomo senza comprenderlo…

Immagina di entrare in terapia e chiedermi di far sparire il tuo sintomo. Se io avessi la capacità di farlo con uno schiocco di dita, forse inizialmente ti sentiresti sollevato.

Ma cosa accadrebbe dopo? Il sintomo, che era lì per dirti qualcosa di importante, non avrebbe più modo di esprimersi. Il tuo corpo e la tua mente, però, continuerebbero a cercare di comunicare ciò che è rimasto inascoltato.

E, prima o poi, quel messaggio riemergerebbe, magari sotto una forma diversa, più intensa o difficile da gestire.

Il sintomo come porta d’accesso all’inconscio

Ogni sintomo è una porta d’accesso a parti di noi stessi che spesso ignoriamo o che cerchiamo di evitare.

L’ansia, ad esempio, può essere il risultato di emozioni represse nel presente, di traumi passati o di conflitti interni non risolti.

Gli attacchi di panico possono essere l’espressione di paure profonde o di una vita vissuta in disarmonia con i propri bisogni più autentici.

Se ci limitassimo a spegnere il sintomo senza aprire quella porta, perderemmo l’opportunità di comprendere meglio noi stessi e di guarire in modo profondo e duraturo.

L’importanza di ascoltare il sintomo

Quando un paziente mi chiede di far sparire un sintomo, la mia risposta è sempre la stessa: “Ascoltiamolo insieme“.

Non è un approccio semplice né immediato, ma è l’unico che può portare a una vera guarigione.

Ascoltare il sintomo significa accoglierlo, esplorarne l’origine, comprenderne il significato. È un percorso che può trasformare profondamente la vita di una persona.

Il corpo parla: se non lo ascoltiamo, urlerà più forte

Il nostro corpo è straordinario nel comunicare ciò che la nostra mente non riesce o non vuole esprimere a parole.

Quando ignoriamo un sintomo, il corpo non si arrende: troverà un altro modo per farci sentire quello che abbiamo bisogno di affrontare.

Potrebbe trasformarsi in un altro sintomo, forse più grave, o manifestarsi sotto forma di un disturbo fisico.

In altre parole, se non ascoltiamo il nostro corpo, esso continuerà a parlare, e lo farà con sempre maggiore insistenza.

Il sintomo come guida nel percorso terapeutico

In terapia, il sintomo non è qualcosa da eliminare, ma da esplorare.

È il punto di partenza di un viaggio che ci porta a scoprire aspetti di noi stessi che forse non conoscevamo, o che abbiamo ignorato per troppo tempo.

In questo senso, il sintomo diventa una guida preziosa, un alleato nel percorso di guarigione.

Ogni volta che un paziente mi dice “vorrei solo che quel sintomo sparisse“, lo invito a considerare che, forse, quel sintomo sta cercando di aiutarlo a trovare una via d’uscita da una situazione di sofferenza.

La trasformazione del sintomo: da nemico ad alleato

Un aspetto fondamentale del lavoro terapeutico è trasformare il rapporto con il sintomo.

Invece di vederlo come un nemico da combattere, possiamo iniziare a considerarlo un alleato, una guida che ci accompagna verso una maggiore consapevolezza e benessere.

Questo cambiamento di prospettiva è spesso il primo passo verso la guarigione. Accogliendo il sintomo, possiamo iniziare a lavorare su ciò che lo causa, liberandoci gradualmente dalla sua morsa.

Il rischio della terapia sintomatica

Oggi, purtroppo, viviamo in una società che tende a cercare soluzioni rapide e immediate per ogni problema.

Anche in ambito terapeutico, c’è chi propone interventi che mirano a eliminare rapidamente i sintomi, senza indagare sulle cause profonde.

Questo approccio, sebbene possa offrire un sollievo momentaneo, rischia di lasciare intatti i nodi profondi che causano il malessere. Una vera guarigione richiede un lavoro profondo su se stessi.

Il ruolo dell’EMDR nel lavoro con il sintomo

Un approccio che utilizzo spesso in terapia, soprattutto quando ci troviamo di fronte a sintomi come ansia, attacchi di panico, o altre manifestazioni di disagio, è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).

L’EMDR è una tecnica terapeutica che permette di elaborare e trasformare le esperienze traumatiche o emotivamente dolorose che spesso si nascondono dietro i sintomi. È uno strumento potente, che ci consente di andare oltre la semplice gestione del sintomo per arrivare a una comprensione e guarigione più profonde.

Partire dal sintomo: il punto di ingresso nel lavoro terapeutico

Quando iniziamo una seduta di EMDR, partiamo proprio dal sintomo che il paziente porta in terapia.

Questo sintomo diventa il punto di ingresso, la porta attraverso cui accediamo a emozioni, ricordi e convinzioni radicate che potrebbero essere alla base del malessere.

È un processo che richiede attenzione e delicatezza, perché spesso ciò che emerge può essere doloroso o difficile da affrontare, ma è anche un processo che offre la possibilità di una vera trasformazione.

La cognizione negativa: ciò che crediamo di noi stessi

Uno degli aspetti fondamentali del lavoro con l’EMDR è l’esplorazione delle cognizioni negative, ovvero quelle convinzioni radicate e spesso inconsapevoli che abbiamo su noi stessi.

Queste cognizioni possono derivare da esperienze passate, traumi o situazioni di vita che hanno lasciato un segno profondo.

Ad esempio, dietro un sintomo come l’ansia, potrebbe esserci la credenza “non sono al sicuro”, “non ho il controllo” o “non sono abbastanza”. Queste convinzioni, se non vengono esplorate e trasformate, possono continuare ad alimentare il sintomo e a limitare la nostra vita.

Esplorare cosa c’è dietro: andare alla radice del problema

Una volta identificata la cognizione negativa associata al sintomo, il lavoro con l’EMDR ci porta a esplorare cosa c’è dietro di essa.

Questo significa rivivere, in modo controllato e sicuro, le esperienze passate che hanno dato origine a quella convinzione.

Attraverso i movimenti oculari o altre forme di stimolazione bilaterale, aiutiamo il cervello a elaborare queste esperienze in modo nuovo, permettendo alla persona di rilasciare il carico emotivo associato e di modificare la propria percezione di sé e del mondo.

Trasformare il sintomo: un viaggio di guarigione

Il risultato di questo processo è una trasformazione profonda.

Il sintomo, che inizialmente appariva come un nemico da combattere, si rivela essere un alleato nel processo di guarigione.

Attraverso l’EMDR, non solo riusciamo a ridurre o eliminare il sintomo, ma anche a rafforzare la persona, aiutandola a costruire una nuova percezione di sé più positiva e funzionale.

L’EMDR come strumento di liberazione

L’EMDR non è una soluzione rapida o magica, ma è uno strumento potente e trasformativo che ci permette di lavorare in profondità con i sintomi e le cause che li generano.

Attraverso questo approccio, possiamo liberare le persone dai vincoli del passato e aiutarle a vivere una vita più piena e serena.

Nel mio studio: la storia di P. e il suo percorso di guarigione

Voglio raccontarti la storia di P. che, come molte altre persone, è arrivata da me con la speranza di far sparire un sintomo fisico che la tormentava da tempo. Era stata mandata da me da un medico con il quale collaboro, poiché soffriva di colite cronica. Nonostante avesse eseguito tutti gli accertamenti possibili, le sue condizioni non miglioravano. Il medico, dopo aver escluso cause organiche, le aveva suggerito che la radice del problema potesse essere psicologica, e così decise di rivolgersi a me.

Dalla colite al vero problema

Durante le prime sedute, la paziente era comprensibilmente frustrata.

Desiderava solo che la colite scomparisse, convinta che fosse il principale ostacolo al suo benessere. Tuttavia, man mano che lavoravamo insieme, emerse un quadro molto più complesso e profondo.

Attraverso l’EMDR, abbiamo iniziato a esplorare la sua storia personale, le sue esperienze passate e le emozioni che aveva a lungo represso.

È emerso che la colite non era altro che la manifestazione fisica di una sofferenza emotiva che aveva radici lontane, in particolare legate a situazioni di stress e ansia che aveva vissuto fin da giovane. In quel periodo, non poteva esprimere la sua sofferenza e così una parte di sé più profonda fu ‘costretta’ a creare il sintomo come modalità di espressione.

La trasformazione: la colite perde la sua funzione

Con il tempo e il lavoro terapeutico, la paziente ha iniziato a comprendere meglio sé stessa e il suo corpo. Abbiamo esplorato insieme le convinzioni negative che alimentavano il suo stato di tensione costante, e attraverso l’EMDR, siamo riusciti a elaborare e a trasformare quelle esperienze che la tormentavano.

Un segnale chiaro del cambiamento è arrivato quando, durante una seduta recente, mi ha raccontato con stupore che, senza rendersene conto, da un mese aveva smesso di prendere le sue compresse per la colite, e che il sintomo non si era ripresentato.

Tuttavia, non è stato un percorso lineare. Un giorno, P. è tornata in terapia visibilmente affranta.

Mi ha confessato di essere molto preoccupata perché quella mattina aveva avvertito forti dolori addominali, temendo di aver fatto dei passi indietro. Insieme, abbiamo ripercorso gli eventi del giorno precedente e abbiamo scoperto che qualcosa l’aveva profondamente turbata. Un evento che aveva riacceso in lei vecchie paure e insicurezze.

Imparare ad ascoltare il corpo: il cambiamento definitivo

Grazie al percorso terapeutico e all’EMDR, la paziente ha imparato a riconoscere i segnali del suo corpo e a interpretare il significato di quei sintomi che un tempo la paralizzavano.

La colite, che per anni aveva rappresentato un nemico da combattere, ha perso la sua funzione originaria.

Non era più un avversario da temere, ma piuttosto un indicatore, un messaggio che il suo corpo le inviava per avvertirla di uno stato emotivo da gestire. Ora, invece di cercare di sedare il corpo con farmaci, ha imparato a fermarsi, a riflettere e a comprendere cosa il suo corpo le stia comunicando.

La pancia è sempre stata il suo punto sensibile, il luogo dove somatizza le sue emozioni, ma ora ha gli strumenti per ascoltarla e prendersene cura.

Questo cambiamento non solo ha portato alla scomparsa della colite cronica, ma le ha anche dato una nuova consapevolezza di sé e una maggiore capacità di gestire lo stress e le difficoltà della vita.

Conclusioni: un approccio che va oltre il sintomo

Questa storia esemplifica come, affrontando il sintomo non come un nemico da eliminare, ma come un messaggio da decifrare, si possa arrivare a una guarigione profonda e duratura.

Il percorso terapeutico non è mai semplice, ma con pazienza e dedizione, è possibile trasformare il rapporto con il proprio corpo e ritrovare un equilibrio che sembrava perduto.

Se anche tu stai lottando con un sintomo che non riesci a comprendere, ricorda che il corpo non mente mai, e che ascoltarlo è il primo passo verso la vera guarigione.

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