Sono io sbagliato/a o è il partner? Capire il vero problema senza distruggersi
Lavorando con persone che escono da relazioni tossiche, sento spesso questa domanda ‘Dottoressa, sono io sbagliato/a. Ho dato il peggio di me in questa relazione.’
Una frase che racchiude tanto dolore, confusione e, molto spesso, una paura profonda di aver causato una sofferenza che forse non meritano. Chi si trova in una relazione tossica vive una lotta interiore costante: si alternano i momenti in cui si percepisce come vittima e quelli in cui ci si domanda se sia proprio il proprio comportamento a creare i problemi.
Eppure, rimanere intrappolati in questo dubbio porta solo a sofferenza e destabilizzazione.
Esploriamo insieme perché questo tipo di frase è così comune nelle relazioni tossiche, come si crea e soprattutto come uscirne per costruire relazioni più sane e appaganti.
La difficoltà di capire: perché è così facile sentirsi confusi?
Quando siamo dentro ad una relazione tossica, è incredibilmente complesso riuscire a distinguere chiaramente le dinamiche in gioco. Non è raro che, anche le persone più sicure di sé, si ritrovino a dubitare delle proprie percezioni, fino a perdere la capacità di comprendere la situazione in modo oggettivo.
Le relazioni tossiche, infatti, sono un terreno fertile per l’intreccio di ruoli e responsabilità. Gli individui finiscono spesso per attribuirsi le colpe dell’altro, confondendo i ruoli di vittima e carnefice. Questo non accade per debolezza personale, ma perché il contesto emotivo e psicologico di queste relazioni induce spesso a vedere il peggio di sé, esaltando dubbi e insicurezze.
Questa confusione è accentuata da una dinamica molto diffusa: l’alternanza di momenti di intimità e affetto con episodi di ostilità e colpevolizzazione.
Si tratta di un ciclo che, apparentemente, rende impossibile una via d’uscita e che rinforza l’illusione che, con un po’ più di impegno, tutto possa cambiare.
In realtà, mentre ci si concentra su chi sia “giusto” o “sbagliato”, si rimane intrappolati in un meccanismo di dolore continuo.
L’errore fatale: rimanere focalizzati sulla domanda “sono io sbagliato/a?”
Chi si chiede ‘sono io sbagliata/o’ tende a credere che, identificando una colpa in sé stesso, la relazione possa migliorare. In qualche modo, si convince che se solo riuscisse a comportarsi meglio, ad essere più paziente, più comprensivo o più calmo, allora il partner potrebbe rispondere in modo diverso e la relazione potrebbe finalmente funzionare.
Questa convinzione nasconde però una trappola: offre l’illusione di controllo. Pensare di poter risolvere tutto attraverso il proprio cambiamento dà l’impressione di poter “gestire” la relazione. Dopotutto, cambiare sé stessi sembra più facile che affrontare la realtà di un partner che non desidera evolversi o che, peggio ancora, si approfitta di questa disponibilità per trarre beneficio.
Spostare l’attenzione su sé stessi può dare un senso temporaneo di speranza, ma alla lunga diventa distruttivo. Questo perché, mentre si continua a cercare un colpevole, si rimane intrappolati in una spirale di ansia e frustrazione, senza mai prendere una decisione risolutiva.
La domanda che dovresti farti: “Questa relazione mi arricchisce?”
Un approccio più costruttivo, seppure impegnativo, consiste nel chiedersi se la relazione sia una fonte di arricchimento o meno. Questo non implica evitare le proprie responsabilità, ma aiuta a spostare l’attenzione dal concetto di colpa a quello di valore: cosa porta realmente nella tua vita questo rapporto?
Quando si osserva una relazione da questo punto di vista, si comincia a vedere le dinamiche tossiche per quello che sono, senza colpevolizzare o giustificare inutilmente. Se la relazione non contribuisce positivamente alla tua crescita, indipendentemente da chi sia “sbagliato”, allora è il momento di riflettere su come procedere.
Rimanere a chiedersi chi ha torto e chi ragione, infatti, è come rimanere su una ruota che gira a vuoto, senza avanzare mai. Invece, riconoscere l’impatto reale della relazione è un passo concreto verso un cambiamento che possa portarti a vivere in armonia e serenità.
La radice profonda del “Sono io sbagliato/a”: la voce del bambino interiore
Molti di noi si sono abituati, fin dall’infanzia, a pensare che le difficoltà nelle relazioni siano dovute a loro stessi. Da bambini, infatti, era impossibile guardare i genitori, o figure adulte di riferimento, come fonte di disagio: farlo avrebbe minato la nostra stessa sicurezza.
Di conseguenza, quando un genitore o una figura di riferimento si comportava in modo instabile, doloroso o incomprensibile, il bambino finiva per attribuire a sé stesso la colpa.
Questa convinzione diventa una forma di sopravvivenza psicologica: “Se sono io sbagliato/a, posso cambiare, posso fare in modo che mi vogliano bene, che smettano di ferirmi. Se fossero i miei genitori sbagliati, potrei morire.” Questo meccanismo, sebbene utile da piccoli per affrontare un contesto emotivamente insicuro, diventa dannoso nell’età adulta.
Quella voce interiore che ci accusa e ci fa dubitare di noi stessi non è altro che il riflesso di questo bambino che si è convinto, per sopravvivere, di essere sempre “sbagliato”. Ma se da piccoli dirsi “sono io sbagliato/a” ha rappresentato un modo per adattarsi e sopravvivere, da adulti è una convinzione che logora, che ci allontana dal nostro vero valore e dalla possibilità di costruire relazioni autentiche.
Il passaggio dalla colpa alla consapevolezza: come uscire dalla relazione tossica
Uscire da una relazione tossica implica anzitutto l’acquisizione di una nuova prospettiva: smettere di cercare colpevoli e iniziare a osservare l’impatto della relazione sulla propria vita.
Questo passaggio non è immediato e richiede tempo, ma è l’unico modo per costruire un rapporto più sano con sé stessi e con gli altri.
Ecco alcuni passi che possono aiutarti in questo processo:
- Riconosci la tua storia: comprendi che la convinzione di essere “sbagliato” nasce da lontano, è radicata nelle esperienze infantili e non rispecchia la tua vera essenza.
- Ascolta il tuo valore: inizia a concentrarti su cosa ti fa sentire bene, su cosa ti arricchisce come persona, senza paura di “perdere” il partner o deludere qualcuno.
- Distinguere l’empatia dal sacrificio: in una relazione sana, l’empatia non deve mai trasformarsi in annullamento di sé. Se per far felice il partner ti trovi a sacrificare i tuoi bisogni e la tua felicità, è il momento di riconsiderare la relazione.
- Poni dei limiti: essere empatici e amorevoli non significa permettere agli altri di invadere il proprio spazio interiore. Imparare a stabilire dei limiti è fondamentale per proteggere il proprio equilibrio emotivo.
- Cerca supporto: parlare con un professionista può essere un passo fondamentale per elaborare le proprie esperienze, capire le proprie dinamiche e trovare la forza di lasciare una relazione che non rispetta il proprio valore.
L’uscita dal dolore: verso relazioni più sane e soddisfacenti
Essere in una relazione tossica è come camminare in una nebbia costante: si perde la chiarezza, la fiducia in sé e, spesso, la speranza in un cambiamento positivo. Eppure, il primo passo per liberarsi dalla sofferenza è cambiare prospettiva, uscendo dal loop di colpevolizzazione e rivolgendo l’attenzione al proprio benessere.
Riconoscere di meritare una relazione che sia fonte di crescita e rispetto è un atto di amore verso sé stessi. L’obiettivo non è mai trovare un colpevole, ma capire cosa realmente ci nutre e cosa, invece, ci svuota.
Essere consapevoli dei propri bisogni e delle proprie ferite è il modo più efficace per costruire una vita piena e relazioni appaganti, che rispettino il nostro valore.
In questo percorso di crescita, ricorda: non sei mai “sbagliato/a” per essere stato empatico, per aver desiderato una connessione autentica, per aver creduto che l’amore potesse tutto. Ma è fondamentale capire che il vero amore non chiede mai di sacrificare la tua essenza.
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