Pamela Busonero, Psicologa e Psicoterapeuta

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Violenza Assistita

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Violenza Assistita: un silenzioso trauma infantile

Scrivere questo articolo mi sta particolarmente a cuore perché, nel mio lavoro con persone che hanno subito abusi da parte del partner, emerge spesso un dettaglio comune: molte di loro, da bambine, hanno vissuto in contesti di violenza assistita.

Questo aspetto è spesso trascurato, perché l’attenzione tende a focalizzarsi sugli abusi diretti, ignorando l’impatto devastante che anche solo l’“assistere” alla violenza può avere.

Spesso le persone non si rendono conto di aver subito violenza assistita, specialmente se la violenza era rivolta al genitore e non direttamente a loro.

Magari ricordano scene in cui il padre urlava contro la madre o la minacciava, ma minimizzano pensando che, poiché non erano fisicamente coinvolti, ciò non li abbia toccati. Eppure, assistere a certe dinamiche, crescere in un ambiente impregnato di paura, conflitti e svalutazione, lascia segni profondi che si manifestano spesso solo in età adulta.

Cos’è la violenza assistita

La violenza assistita si verifica quando un bambino è testimone, diretto o indiretto, di comportamenti violenti all’interno della famiglia.

Non è necessario che il minore veda la violenza in prima persona: anche sentirne i rumori da una stanza vicina, vedere i segni fisici delle aggressioni o percepire la tensione costante sono forme di esposizione che rientrano in questa definizione.

Immagina un bambino che si sveglia di notte per il rumore di un mobile che si rompe, seguito dalle urla soffocate di un genitore e da passi pesanti nel corridoio.

Anche senza vedere nulla, il bambino sa che qualcosa non va. La sua mente cerca di dare un senso a ciò che accade, ma spesso l’unica spiegazione che trova è che il mondo sia un luogo insicuro e che lui non abbia controllo.

Questa percezione di insicurezza e impotenza porta il cervello del bambino ad adattarsi sviluppando un costante stato di allerta.

A livello cognitivo, l’amigdala, la parte del cervello responsabile delle risposte di paura e allarme, diventa iperattiva, come se fosse sempre pronta a identificare una minaccia.

Questo meccanismo può causare, in età adulta, disturbi come l’ansia e gli attacchi di panico. Il corpo e la mente rimangono bloccati in una “modalità sopravvivenza”, anche in assenza di reali pericoli, creando sintomi come palpitazioni, respiro affannoso e senso di imminente catastrofe.

Esempi pratici di violenza assistita

  1. Violenza fisica: Un bambino che vede il padre spingere o colpire la madre potrebbe non capire appieno cosa stia accadendo, ma percepisce la paura e il dolore. Potrebbe anche cercare di intervenire, mettendosi in situazioni pericolose.
  2. Violenza psicologica: Il bambino assiste al genitore che insulta, svaluta o manipola emotivamente l’altro, creando un’atmosfera di costante tensione. Ad esempio, un padre che urla contro la madre davanti ai figli, dicendole che non vale nulla o che senza di lui non sarebbe nessuno.
  3. Violenza emotiva: Anche una continua indifferenza, lunghi periodi di silenzio o il rifiuto possono costituire violenza. Un bambino che vede il padre ignorare sistematicamente la madre o trattarla con disprezzo impara che il rispetto non è un elemento fondamentale nelle relazioni.
  4. Violenza economica: Un genitore che controlla totalmente le finanze, impedendo all’altro di avere autonomia economica, crea un ambiente in cui il bambino percepisce l’impotenza e la disparità di potere. Ad esempio, una madre che deve chiedere ogni volta il permesso per acquistare qualcosa per i figli.

Le conseguenze della violenza assistita sui bambini

Crescere in un ambiente dove si assiste alla violenza ha effetti profondi e duraturi.

  1. Cognizioni negative su di sé: Un bambino esposto alla violenza può interiorizzare messaggi distruttivi, come “Non valgo nulla” o “Non merito amore e rispetto” o “I miei sentimenti non contano” o ancora “Sono invisibile”. Questi pensieri diventano spesso il nucleo delle sue convinzioni da adulto, influenzando autostima e relazioni.
  2. Ansia e paura costanti: La violenza crea un ambiente imprevedibile. Il bambino cresce in uno stato di allerta continua, aspettandosi il prossimo scoppio di rabbia o conflitto. Questo stato di ipervigilanza può portare a disturbi d’ansia o difficoltà a rilassarsi.
  3. Normalizzazione della violenza: Se un bambino vede un genitore vittima rimanere in una relazione violenta, può interpretare questo comportamento come normale o inevitabile. Di conseguenza, da adulto potrebbe accettare relazioni abusanti o replicare questi schemi, sia come vittima che come carnefice.

Tipologie di violenza e impatti distinti

Violenza fisica

È quella più evidente: spintoni, schiaffi, pugni. Anche se il bambino non è toccato direttamente, vedere uno dei genitori subire aggressioni può generare terrore e senso di impotenza. Questo tipo di violenza crea nei piccoli una percezione del mondo come luogo pericoloso e instabile.

Violenza psicologica

Le parole possono ferire tanto quanto i pugni. Insulti, manipolazioni, minacce e svalutazioni lasciano cicatrici profonde. Ad esempio, un bambino che sente il padre dire alla madre: “Se te ne vai, non vedrai mai più i tuoi figli” può crescere con la convinzione che l’amore debba essere sempre accompagnato da paura o controllo.

Violenza emotiva

L’assenza di amore e affetto può essere devastante. Un bambino che cresce in un ambiente dove non ci sono carezze, incoraggiamenti o sguardi amorevoli impara a sentirsi invisibile o non degno di attenzioni. Questo lo spinge, da adulto, a cercare disperatamente conferme dagli altri o, al contrario, a chiudersi emotivamente.

Violenza economica

Anche questa è una forma di abuso sottile ma potente. Vedere un genitore dipendere economicamente dall’altro può inculcare nel bambino l’idea che l’autonomia non sia possibile o che il potere risieda sempre nelle mani di chi controlla le risorse.

Spezzare il ciclo della violenza assistita

La buona notizia è che il ciclo della violenza si può interrompere. Serve consapevolezza, coraggio e un sostegno adeguato.

  1. Riconoscere il problema: Il primo passo è ammettere che ciò che si è vissuto non era normale, anche se allora sembrava l’unica realtà possibile.
  2. Chiedere aiuto: Parlare con un terapeuta specializzato può fare la differenza. La terapia aiuta a elaborare il trauma, identificare i comportamenti appresi e costruire un nuovo modo di vivere le relazioni.
  3. Educazione emotiva: Imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni è fondamentale per costruire relazioni più sane e rispettose.
  4. Costruire un futuro diverso: Ogni persona ha il potere di scegliere un futuro migliore per sé e per i propri figli, rompendo il ciclo della violenza e creando un ambiente familiare basato su amore e rispetto.

Esempio di Rinascita: La Storia di A

A è cresciuta in una casa dove il silenzio era carico di paura e le grida erano un sottofondo abituale. Suo padre spesso aggrediva la madre, fisicamente e verbalmente, mentre lei, da bambina, osservava tutto in un angolo della stanza o ascoltava dietro una porta chiusa.

Per anni, ha creduto che fosse normale vedere un genitore piangere in silenzio e l’altro urlare per ottenere il controllo. Questo era il suo mondo, la sua “normalità”.

Quando è diventata adulta, A ha iniziato a cercare relazioni disfunzionali. Senza rendersene conto, riproduceva lo schema familiare: partner autoritari, manipolatori, incapaci di offrire amore autentico. Ogni volta che veniva trattata con mancanza di rispetto o con violenza emotiva, si diceva che forse era lei quella sbagliata, che forse meritava quel trattamento e che non avrebbe mai trovato un partner amorevole.

Un giorno, però, tutto è cambiato. L’ennesima relazione tossica l’ha spinta a chiedermi aiuto.

Durante il percorso terapeutico, A ha iniziato a esplorare le radici profonde delle sue scelte, scoprendo come la violenza assistita avesse influenzato il suo modo di vedere sé stessa e gli altri.

Uno degli strumenti utilizzati è stato l’emdr. Sessione dopo sessione, A ha ricostruito i ricordi legati al suo passato, lavorando sulle emozioni che erano rimaste bloccate nel tempo.

Ha imparato a riconoscere e destrutturare le credenze negative che la accompagnavano fin dall’infanzia: “Non valgo nulla”, “Merito di essere trattata così”, “Non sarò mai abbastanza”.

Attraverso questo lavoro, ha trovato un nuovo modo di guardare sé stessa e la sua vita. Ha imparato che ciò che aveva vissuto non definiva il suo valore.

La storia di A ci insegna che, anche quando il passato sembra insormontabile, è possibile riprendere in mano la propria vita.

Con il giusto sostegno e un lavoro profondo su sé stessi, si può rompere il legame con un passato di dolore e costruire un futuro di libertà e serenità.

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Dott.ssa Pamela Busonero

Psicologa Psicoterapeuta, riceve a Firenze in Piazza Indipendenza 21

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